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D’Alema a Canossa e il Jobs Act nel referendum
di Massimo Villone dal Manifesto 07-09-2016
Conoscendolo, pensiamo che nel lessico di D’Alema la locuzione “andare a Canossa” non esista. Mai ammetterebbe di avere sbagliato alcunché. Ma è almeno corretto dire che con l’introduzione all’assemblea del cinema Farnese D’Alema è andato a il manifesto. I punti principali sono da mesi su queste pagine, a firma mia e di molti altri. La riforma è stata approvata da una maggioranza trasformista e occasionale, eletta in base a una legge incostituzionale; la fiducia sulla legge elettorale è stata un’entrata a gamba tesa; è sbagliata l’idea che con le elezioni si sa chi vince e fa il governo; la fine del partito della Nazione è un bene per tutti; è una furbata non aver ancora fissato la data del voto referendario; la vittoria del No spinge a una rivisitazione radicale dell’Italicum; viviamo un momento di debolezza della democrazia. Meglio tardi che mai. Capiamo anche perché le indicazioni di riforma alternativa rimangono al momento generiche. Bisogna compattare sul No tutti i contrari alla riforma renziana, senza allontanare nessuno per un dissenso rispetto all’alternativa prospettata. Ma i punti principali sono chiari. Riduzione bilanciata del numero di deputati e senatori, con risparmi superiori a quelli della Renzi-Boschi; un procedimento di conciliazione bicamerale, per evitare le navette; la fiducia alla sola Camera dei deputati, mentre il Senato rimane elettivo. Per chi ritiene che non basti difendere una Costituzione solo da attuare, senza modifica alcuna, è probabilmente il minimo intervento utile. Il disegno va completato, e basta per questo leggere qualcuna delle tante proposte da tempo agli atti. Ad esempio, non si può affidare una legge di stabilità a una camera elettiva non legata al governo da un rapporto fiduciario. Quindi, toccare l’art. 94 sul rapporto di fiducia comporta necessariamente che si riveda anche il procedimento di formazione delle leggi. Mentre la perdurante debolezza dei corpi intermedi ci dice che la salute democratica del paese richiede un rafforzamento reale, e non farlocco, dell’iniziativa popolare delle leggi e del referendum. Comunque, secondo l’ultimo Renzi avremo tempo fino al 2018 per una revisione limitata e rispettosa dei canoni fondamentali della Costituzione del 1948. Ma il punto di forza di D’Alema è anche la sua debolezza. Può attrarre al No una parte dell’antica militanza, e forse risvegliare dal coma la minoranza Pd. Esiti certo importanti, ma la partita si vince o si perde fuori del Pd. I sondaggi ci dicono che il No è in vantaggio, ma in tanti scelgono di non votare, o sono indecisi. Questo ci impone di dimostrare che difendere la Costituzione è nell’interesse di tutti, nel vivere quotidiano. Che non è una partita di scacchi tutta interna al ceto politico, di governo o di opposizione. Bisogna smantellare l’argomento che si tocca la sola Parte II della Costituzione. È così dal punto di vista puramente formale. Ma nella sostanza attraverso il cordone ombelicale della rappresentanza politica e della legislazione tutto si riverbera sulla Parte I e sui diritti in essa garantiti. Il disegno politico-istituzionale di Renzi è subalterno ai poteri dell’economia e della finanza, che intendono scaricare sui più deboli i costi della globalizzazione e della perdurante crisi. O pensiamo che J.P. Morgan, Confindustria e il Forum Ambrosetti applaudono Renzi perché ne apprezzano la sapienza istituzionale? Certamente no. Applaudono perché vogliono istituzioni docili e obbedienti, come quelle che vengono dall’Italicum e dalla Renzi-Boschi. Non è un caso se l’Italicum prefigura una camera politica blindata e consegnata per la legislatura nelle mani del leader del partito vincente. Non è un caso se la Renzi-Boschi abolisce non già il Senato, ma il diritto dei cittadini di votare per i senatori, concede al governo il controllo dell’agenda parlamentare, non rafforza affatto gli strumenti di democrazia diretta, marginalizza le autonomie regionali e locali. È dalla sinergia tra le due leggi che viene lo svuotamento del sistema di checks and balances, della capacità rappresentativa del parlamento, della partecipazione democratica. Così cade il più forte argine a difesa dei diritti di cui alla Parte I della Costituzione. Non possiamo aspettarci da Renzi e da chi lo applaude un ravvedimento operoso. Il No è l’unica scelta utile. Ecco le domande da porre agli italiani: perché mai l’Italia che lotta ogni giorno per una vita dignitosa, che si danna l’anima per tenere in piedi la famiglia o per farsene una, dovrebbe votare Si? Perché mai vorrebbe schierarsi dalla parte di chi difende diritti ed eguaglianza solo a parole? O credere a chi rappresenta falsamente come intatta la Parte I della Costituzione, mentre approva leggi che la smantellano? Oggi il No può venire indifferentemente da destra e da sinistra, con motivazioni diverse. Ma domani, dopo il voto, il che fare non sarà questione di drafting legislativo ma di progetto politico. E fatalmente sarà di destra o di sinistra.
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